
Chi fosse interessato alla lettura del libro, lo può trovare presso la Libreria Einaudi (via Pace 16/A) e presso la Nuova Libreria Rinascita (via della Posta 7).
______________________________________
Là fuori 2: peregrinazioni riflessive sulla città–bene comune.
Tra fine XX e inizio XXI la società politica italiana è stata solcata da una rottura. La continuità che si era protratta, per il 70% (vedi DC + PCI) dal secondo dopoguerra, si è spezzata (I. Diamanti, “La Repubblica”, 11 ottobre 2021). Si è verificata una “erosione del voto fedele”, rimpiazzato dal “voto liquido, ispirato dal ri-sentimento piuttosto che dal sentimento politico, dal distacco piuttosto che dall’appartenenza, dalla sfiducia più che dalla fiducia”.
Insomma, il tessuto civile del territorio sembra aver perduto “le sue radici e le sue ragioni”; in esso “è diventato sempre più difficile rivolgersi ai cittadini”. Questi, non ascoltati, hanno finito per essere catturati dalle sirene mediatiche contro la “casta” e, bisognosi di salvezza e di speranza, sono alla ricerca di approdi sicuri presso i leader di turno. Ma quelli che si presentano come tali si rivelano ben presto veicoli rovinosi, “macchine di promesse infrante” (Arjun Appadurai e Neta Alexander, Fallimento, 2019). Strumenti di volta in volta di sottile violenza simbolica, camuffati da reiterati imperativi performativi che “risemantizzano come virtù il fallimento”, e l’elogio ingannevole del rischio e dell’incertezza quale ethos dell’ “uomo flessibile” (R. Sennett, L’uomo flessibile. Le conseguenze del capitalismo nella vita personale, 1999).
Tale contesto ci spinge ad esplorare nuove possibilità, a continue peregrinazioni riflessive sul rapporto cittadini/popolo e istituzioni/cura del bene comune. La presentazione – e la lettura, auspicabile – del nostro volume Politiche della città. Rigenerare, abitare, convivere, si offre come snodo per rilanciare le analisi critico-ricostruttive ivi contenute, arricchendole con un dibattito pubblico sul come democratizzare il diritto alla città, sul formare un popolo dal basso, sulla necessità di prendersi cura della convivenza democratica.
Non è tempo, comunque, per sostare su ciò che non siamo riusciti a conoscere, su ciò che non siamo riusciti a mettere a valore etico-civile. Siamo chiamati, per resistere alle conseguenze perniciose preterintenzionali degli osannati “legami deboli” che attraversano le nostre vite, ad uno sforzo impervio, capace di instaurare “legami forti”: fiducia, lealtà, fedeltà, servizio, resistenza attiva e vigilanza critica nei confronti della città. Ci può soccorrere quello che il poeta inglese John Keats, all’inizio del XIX secolo, chiamava capacità negativa (negative capability), consapevole che “il reale non è ciò che è”. Quella capacità interviene come risorsa del soggetto “quando un uomo è capace di essere nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio, senza l’impazienza di correre dietro a fatti e a motivi certi”.
Ne può nascere “un agire che per così dire nasce dal vuoto, dalla perdita di senso e di ordine, ma che è orientato all’attivazione di contesti e alla generazione di mondi possibili” (G. F. Lanzara, Capacità negativa. Competenza progettuale e modelli di intervento nelle organizzazioni, 1993). In altri termini, si tratta di farsi “portatori di speranza” (Hoffnungsträger), come affermava spesso Alexander Langer (vedi ad esempio La scelta della convivenza, 1995), in un mondo dominato dall’agire calcolativo che addita come percorso da perseguire la traduzione della sua “macchina di promesse infrante” in virtù civile.
Si tratta quindi di prendersi cura delle istituzioni democratiche mettendole in movimento (R. Esposito, Istituzione, 2021). È ciò che, nella sua genesi, richiede la sostanza stessa di ogni persona: “Poiché sono initium, nuovi venuti e iniziatori grazie alla nascita, gli uomini prendono l’iniziativa, sono pronti all’azione” (H. Arendt, Vita activa).
Pietro Zanelli
15 ottobre 2021